Il
valore di un prodotto non è soltanto dato dalla somma dei costi. Non basta
aggiungere produzione, distribuzione, creatività ecc…Il valore del
prodotto finale lo danno i consumatori. Se un bene è richiesto e desiderato
l’attribuzione del suo costo seguirà una logica, diversamente dovrà subirne
un’altra.
Oggi
noi parliamo del prodotto in assoluto più in crisi, l’informazione su carta.
Credere che ciò che viviamo oggi sia sfociato negli ultimi anni, non è corretto. La crisi ha origini più lontane ma è stata in gran parte mascherata o osservata in maniera superficiale e presuntuosa da molti. Troppi dati e poca sostanza sono passati sotto gli occhi di tutti in questi anni. Dati magari positivi ma nati dalla creatività manageriale non da un solido flusso finanziario.
Credere che ciò che viviamo oggi sia sfociato negli ultimi anni, non è corretto. La crisi ha origini più lontane ma è stata in gran parte mascherata o osservata in maniera superficiale e presuntuosa da molti. Troppi dati e poca sostanza sono passati sotto gli occhi di tutti in questi anni. Dati magari positivi ma nati dalla creatività manageriale non da un solido flusso finanziario.
L’italiano medio non è mai stato un grande lettore.
Questo è il nostro maggior problema. Noi prediligiamo una pizza a un libro o a un
mensile. Meglio una cover nuova per l’i-phone piuttosto che amare l’
appuntamento quotidiano con un giornale. Amiamo la televisione e preferiamo i reality
all’ informazione, in più consideriamo i grandi editori come un’ appendice di
un Governo, qualunque esso sia, non dei più efficienti, pertanto si parla
sempre di informazione distorta e non...trasparente.
Non è tutto qui. Abbiamo un ulteriore
handicap. L’editore non si chiede come mai l’italiano non legga ma sempre si
domanda :” Come mai quello stupido di italiano non mi legge che sono così
bello, interessante, approfondito ….?”. La colpa è del consumatore che non
capisce il prodotto non viceversa. Straordinario.
Così
l’editoria ha dovuto inventarsi qualcosa per sostenersi. Sebbene incredibili e
incomprensibili fenomeni (per me), tipo quello degli allegati, abbiano generato
enormi ricavi in tutti i soggetti della filiera, si è anche potuto riscontrare
che si è pur sempre trattato proprio di un “fenomeno”, di pochi anni. Una volta
riempite le case di libri, secondo molti per puro collezionismo e senso
estetico e di enciclopedie, sembrava che
nessuno avesse un’ enciclopedia in casa, rieccoci ripiombati nel medioevo.
Tutto questo ha però dimostrato una grande produttività della rete commerciale,
ovvero delle edicole, e un’ efficiente se non unica capacità diffusionale
del prodotto editoriale su tutto il territorio nazionale. Quando il prodotto è buono il
giocattolo funziona.
Se
quindi il consumatore non mi vuole come faccio a farmi leggere? Esco gratis, ma
chi paga? Pubblicità? Perchè no, ma la diffusione è bassa come si fanno a
aumentare le diffusioni? Allargo la rete di vendita, aumento la tiratura e vado
ovunque ci sia un posto dove poter essere “buttato”. A questo punto entrano i
grandi “certificatori” di vendita come delle diffusioni, che nulla sono se non
gli stessi editori che certificano se stessi, attraverso importanti strutture
costituite sempre dagli stessi editori…chiaro no?
Per
pigrizia tralascio quanto lo Stato abbia partecipato nel drogare l’editoria italiana
solo per sostenere qualcosa che imprenditorialmente era già al collasso da
anni. Mi sono sempre chiesto perché un editore debba sentirsi in diritto di
pretendere soldi pubblici, in qualunque forma essi arrivino, per sostenere un pensiero che il cittadino non è
interessato a leggere ed ascoltare.
Dopo
tutto ciò, e senza mai tralasciare l’inimmaginabile mole di denaro pubblico
speso per sostenere le spese postali, per abbonamenti che nessuno vuole, ecco
tutti gli anni la processione di F.I.E.G. con il cappello in mano a pretendere
denari per la salvaguardia dell’informazione e della libertà di stampa…i nostri
denari.
Adesso
torniamo alla mia premessa. Il valore di un prodotto percepito dal cliente. Se
un consumatore non è disposto a pagare 10 euro per un prodotto e non è
disponibile a fare un abbonamento allo stesso prodotto nemmeno per 2/3
euro….vuol dire che non gliene frega niente del tuo prodotto e che ti stai
prostituendo pur di essere letto o diffuso. Il cliente non se ne accorge?
Oggi,
dove la pubblicità non è più quella di un tempo e lo storico sorpasso da entrate
da ricavi di vendita a quelli pubblicitari è oramai un lontano ricordo
dovrebbe, in teoria, essere il momento del lavoro e delle idee ma….tutti qua
dicono:”viva il web!!!”
In
Italia l’editoria sembra che non debba avere un valore. Il prodotto non deve
essere comprato. Eppure ci sono stati elementi anche recenti che possono far
credere che esistono fasce di pubblico interessate alla lettura. Gli editori si
stanno impegnano di più a strutturare un modello di business sul web
ma…l’italiano, come abbiamo detto, se non paga per la lettura non è disponibile
a pagare nemmeno un minimo prezzo per la stessa, soprattutto se può averla
gratis. Sarà un nuovo binario morto. In tutto questo sarà difficile inventare
certificazioni fittizie. I numeri quando si parla di traffico internet seguono
ben altre logiche.
Bisogna
inventarsi altro, e penso che la soluzione migliore debba partire dal prodotto
e dal suo incontro con il consumatore. Ritorniamo indietro di 20 anni quando
ancora non era incominciato questo brutto sogno.
A.R.
A.R.
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