06 gennaio 2015

L'anomalia nella vendita di quotidiani e periodici

Mentre i grandi gruppi editoriali si riorganizzano e si ristrutturano con modalità e strategie piuttosto simili ovvero con tagli di costi e sovvenzioni statali, in attesa di sviluppare modelli di business più efficaci, per le “edicole esclusive”, i cui margini di manovra sono molto limitati sotto il profilo del “taglio dei costi”, non restano grandi opportunità. 

L’edicolante semplicemente chiude la sua attività

Un trend negativo esploso nel corso del 2010, ma che ha messo le sue radici con lo storico sorpasso delle entrate da pubblicità rispetto ai ricavi da vendita avvenuto agli inizi del 2000, che ha portato ad un preoccupante ridimensionamento di questa professione sul territorio oltreché ad un impoverimento della categoria assolutamente disarmante.


Il settore della vendita della stampa non è considerabile concorrenziale. Le rivendite di quotidiani e periodici non vendono merci ma diffondono l’informazione a mezzo stampa. E’ quindi facilmente comprensibile il motivo per cui tante edicole chiudono.

E’ un tipo di commercio anomalo. Non è consentito all’esercente variare il prezzo di vendita delle pubblicazioni, non è possibile negoziare il prezzo d’acquisto delle pubblicazioni, non è possibile decidere quali pubblicazioni ricevere, non è possibile decidere i quantitativi delle pubblicazioni, non è possibile decidere quali pubblicazioni porre in vendita. 

E’ sempre meno un prodotto redditizio e, per quanto riguarda la vendita della stampa, le proiezioni sul lungo periodo descrivono scenari molto differenti da quelli a cui i consumatori e cittadini sono oggi abituati.

E’ palese, pertanto, la motivazione per cui si stanno verificando così tante chiusure proprio
successivamente al crollo di vendita di prodotto editoriale. 

La libertà imprenditoriale è sacrificata per il dovere di assicurare la parità di trattamento a tutte le testate giornalistiche editate. Le edicole non sono mai state attività commerciali equiparabili alle altre, proprio in virtù del fatto che l’aspetto prioritario nell’attività di vendita del prodotto editoriale dovesse configurarsi secondo canoni tali da garantire, parità di trattamento tra ogni testata posta in commercio per poter continuare a sostenere nobili principi costituzionalmente previsti. Da ciò ne deriva il valore sociale della professione di “edicolante”, svolto purtroppo all'oscuro e mantenuto dalle stessi media sotto tono.

Si aggiunge a ciò, quale altra difficoltà a testimoniare la natura non imprenditoriale di tale professione, il fatto che l’edicola esclusiva può dedicare solo uno spazio limitato alla vendita di prodotti non editoriali. Non consentendo quindi uno sviluppo dell’attività e nemmeno una sua evoluzione, e siamo in un momento in cui la stampa non è più produttiva.

Il settore editoriale è quello che al momento è più soggetto a cambiamenti rispetto ad altri. 

L’inarrestabile quanto evidente sofferenza delle edicole sul territorio, rappresenta la glaciale
affermazione dei numeri negativi che si sono susseguiti in questi anni in ambito editoriale.

La soluzione, considerato che, incredibilmente, a tutto ciò sono interessati i soli rivenditori e non il "mondo esterno" editori compresi  può essere solo diventare imprenditori e non lo si può fare trattando il prodotto editoriale con le regole fino ad ora in vigore e senza un nuovo approccio commerciale. Sempre meno edicolanti...sempre più imprenditori. 


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